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Le undici sorelle… (ma non erano tre?)

Uscita del 23 Novembre 2009

Azz… anche questa volta, nonostante le raccomandazioni di Ermanno, ci ho zaccato 8 minuti di ritardo all’appuntamento. E non sta bene far aspettare le tre sorelle, che più tardi scoprirò per giunta essere addirittura undici.

Ma ormai la frittata è fatta. Guido, puntuale, mi riportato il mio fidato imbrago “Singing rock” della Torca, che ormai sta facendo parlare di sé come valida alternativa ad altri imbraghi di entry level.

In un batter d’occhio scarico il bagaglio nell’auto di Stefania, oggi andiamo con la sua, e dopo pochi secondi ci troviamo già proiettati sulla SS130 all’inseguimento di due puntini rossi all’orizzonte: “Stefi, ma tu sai dove stiamo andando?”…

“Certo, stiamo andando a Barraxiutta, nella Silverhouse!”…

L’avrò sentita nominare almeno un centinaio di volte, penso tra me, ma ancora non ho capito dove stracacchio sia. “Ok, Stefi. Mi hai convinto: chiamo Riccardo di cui ho provvidenzialmente salvato il numero in rubrica… Ciao Richi… sai mica dove siamo? Come? Se già arrivato? Ah… no, sei dietro di noi?”

Bene. L’avventura inizia all’insegna delle prese per il culo. Il buonumore non manca mai, e se il buongiorno si vede dal mattino, che dire quando inizia alle sei del pomeriggio?

Tutto prosegue liscio. Dopo circa un fiume di parole scambiato con l’autista bionda arriviamo a destinazione. All’arrivo Stefania ed io ci guardiamo un po’ intorno spaesati, e individuiamo un lanternino che fa capolino da una vecchia centrale di trasformazione elettrica dismessa, o qualcosa che le somiglia parecchio: è la Silverhouse.

La Siverhouse si presenta proprio come una Silverhouse. Non c’è il cartello all’ingresso e neppure l’ampio parcheggio. Ma una porta metallica dotata di minacciosa catena all’ingresso e il fumo de sa ziminera, quelli sì che ci sono.

E il buon Silvestro non ha certo dimenticato di approvvigionare la sua magione con legna da ardere.

Bando alle ciance: in quattro e quattr’otto Ci ritroviamo Silvestro, Riccardo Maxia, Cristiano, Lisa, Ermanno, Claudia, Alfredo, Stefania ed io.

Non passa molto tempo che ecco compaiono Fabio, Stefano e Antonello, armati di due possenti chitarre, oltre che delle immancabili wonder.

Pochi minuti ancora ed ecco che siamo già sbragati ad deliziarci con un’incredibile zuppa offerta dal padrone di casa, che riesce in un solo piatto a saziarmi come se avessi passato tutto il giorno a mangiare.

Prima del rutto di fine cena arriva un “vecchio” amico di Silvestro: Antonio dell’Usc. Prima ancora che si sia seduto gli riempio una tazza di vino, non sia mai che all’Usc pensino che allo Spano ci sia qualcuno astemio!

Ma la serata non è ancora al completo. Dopo cena, non si sa bene come, spuntano alla porta Riccardo Denacci e Roberto.

Tra una canzone d’amore, un trallalera e un’osteria numero mille, piano piano il sonno incalza, tanto che alle 23 circa tiro i remi in barca, allestisco il mio “materasso”, un autogonfiabile steso su una solida porta in legno tamburato offerta dalla ditta, a sua volta isolata dal suolo con due robuste zeppe di polistirolo espanso, stendo il sacco a pelo e… arrivederci a tutti.

Al risveglio la mattina noto con entusiasmo che non ho i baffi pieni di dentifricio come si usava nei migliori anni della nostra vita.
Al mattino scopro che alcuni elementi si uniscono all’allegra combriccola. Non solo arriva Angelo dell’Usc, amico di Silvestro e Antonio, ma arrivano anche Alessandro Gallo, Marco e Filippo Aresu.
Mentre stiamo fuori a cazzeggiare, come un miraggio spuntano anche Paolo Profeta e Raffele, di perlustrazione nella zona. Scendono dall’auto, salutano amabilmente, ci fanno i migliori auguri, e sapriscono in una nuvoletta di fumo come sono arrivati.

Ormai non abbiamo più scuse. Dopo che anche l’ultimo ritardatario si è svegliato (senza fare nomi, ma solo soprannomi: Unghia!), saltiamo sulle nostre Gsags-mobiles e ci rechiamo all’attacco del sentiero di avvicinamento.

Dopo esserci messi i nostri Gsags-costumi siamo pronti ad aggredire le sorelle alle spalle (vi prego niente battute).

Corto ma ripido il sentiero di avvicinamento, qualche scaramuccia tra Silvestro, la serratura del cancelletto nel cunicolo e Filippo, ma alla fine il bene prevale.

A questo punto niente più scuse: le sorelle sono lì che ci aspettano a… braccia aperte.

Dopo un breve ma intenso lombricale all’ingresso ci troviamo a camminare nei cunicoli scavati dai minatori per la coltivazione dei filoni di minerale.

Devo ammettere che anche questa volta una vocina dentro di me quando osservavo lo stretto cunicolo mi diceva: “Vai via! Non entrare…” Ma anche questa volta ho stretto i… pugni e mi ci sono ficcato. Non mi è piaciuto molto vedere quei legnacci marci reggere la montagna sulla mia testa, mentre le muffe bianche e il lento stillicidio li rosicchiava da qualche decina di anni.

Ma perché pensare che dovrebbero cascare proprio adesso? Ok, vado. Mi tappo il naso e mi tuffo, entro fiducioso nell’oscurità nella speranza di una risurrezione. D’altronde visitare l’oscura grotta è sempre un pochino un viaggio verso dentro di noi, e non solo dentro le sorelle J…

Una volta entrati, devo dire che sono rimasto impressionato non tanto dalla sticazzi-zinchite, quanto piuttosto dall’idea di quante braccia umane ci sono volute per scavare quei cunicoli, quante bestemmie, quante vite trascorse al buio della miniera per cavare il minerale e dare da mangiare ai propri cari. Non è facile concepire che quello che stiamo vedendo è stato fatto da mano umana. Centinaia di metri di galleria scavati nella roccia, conducono agevolmente da un capo all’altro del ventre della montagna, mentre distrattamente attraversano una diaclasi grande come una galassia, e di tanto in tanto sfiorano una delle ormai famigerate sorelle.

Ah, le sorelle, d’altronde siamo qui per loro. Se inizialmente credevo di essere qui per la sola prima sorella, ora me le farei tutt’e undici. Prolifica, questa madre terra, prolifica.

Troviamo sparsi qua e là dei segni antropici da un vicino passato. Scritte del 1898, lattine di carne e di sgombri da film dell’orrore: figuratevi che non esisteva ancora la data di scadenza sulle confezioni! Qualche bottiglia di plastica abbandonata, e tanto, tanto latte di monte, ceh a dire il vero sembrava più glassa.

Dopo che Silvestro ci guida a vedere l’imboccatura di molte sorelle oltre alla prima, torniamo indietro fino all’imboccatura della seconda. Lì Antonio e Angelo (Usc) hanno armato su indicazioni di Ermanno o di Silvestro (non so) una sola via di discesa. Senza fare troppe domande mi metto in fila e aspetto il mio turno.

Fatico a tenere la bocca chiusa, avrei un sacco di domande da fare, ma Riccardo sta troppo vicino e ancora bruciano le prese per il culo nell’aula del corso J… perciò opto per un più saggio quasi-silenzio.

La domanda però sorge spontanea: non avremmo dovuto fare le squadre per entrare nella (prima) sorella la sera prima? Beh: d’altronde ora sono nel mondo reale, quello della libertà. 

Libero come un fringuello scelgo la via dell’oscurità laggiù in fondo e mentre mi tuffo a capofitto nel pozzo, che poi scoprirò essere da 35 metri, apprendo che Ermanno, Riccardo e Silvestro non entreranno nel pozzo della seconda sorella. Lasceranno che il loro mostro dell’ultimo livello, Antonio Usc, ci guidi nelle viscere della seconda sorella, accompagnato da Angelo Usc.

A dirla tutta, chi prima chi dopo, scendono anche Alfredo, Claudia, Lisa, Antonello, Filippo Aresu, Cristiano, Stefania, Alessandro Gallo, Marco ed io.
Noto che dopo una quindicina di metri di discesa alla mia sinistra si apre un ampio cunicolo con un appiglio costituito da una vecchia punta di trapano ad aria compressa da miniera conficcata nella roccia. Non ci faccio troppo caso e proseguo.

Giunto alla base del pozzo, sveglio Alfredo che dormiva, e che resta ancora in posizione mezzo assopito, e proseguo verso il prossimo salto: altri 25 metri circa, dove raggiungo Cristiano e Marco, i quali, cazzeggiando cazzeggiando, si preparano al salto. Marco scende, Cristiano mi lascia passare avanti.

Io mi attrezzo per scendere, poi proseguo verso il terzo salto attraversando degli orrendi pozzi su cui sta in bilico come un ponte levatoio una stretta passerella ricavata da qualche vecchia scala metallica a pioli: chissà quanto resistono a flessione e taglio? Improvviso un’improbabile stima della loro resitenza eppoi vaffanculo passo senza metterci i piedi sopra, ma facendo leva sul mio “istinto di ragno”.
Dopo la seconda passerella, che mi porta al terzo salto la voce di Stefania sotto di me piuttosto adirata: “c’è un buco seguito da una ripida salita fangosa, e non voglio rischiare di caderci: non siamo in sicurezza: sono incazzata neraaa”.

Decide di risalire, e lo fa senza troppi preamboli.

Nel frattempo Alfredo ci raggiunge e, vista la situazione, arma qualche metro di via oltre il buco con un mancorrente, ma ormai Stefania non ne vuole più sapere e resta a guardare dalla cima del terzo salto.
Io però sono curioso e scendo. Vedo il buco, vedo il mancorrente, vedo la salita che lo segue, e forte della nuova sicura messa da Alfredo, mi avvio verso la salita fangosa per arrivare all’ultima sala (la meta della nostra gita). 

Arrivo, mi guardo intorno… non capisco la bellezza di questa sala. Così mi arrampico un pelino sulla destra, ma non arrivo a nulla di carino e torno indietro dalla Stefania Abbandonata. La rassicuro con un sincero: “Tranquilla: non ti sei persa niente!”. E decidiamo di avviarci all’uscita senza aspettare che la nostra pseudo guida ci riporti indietro di sua iniziativa.

Al rientro le squadre che abbiamo improvvisato non ci sono più (mi sentivo uno dei lemmings). Oltre che a Stefania mi trovo con Lisa ed Antonello. 
Alla cima del primo pozzo (35 m) Silvestro, Ermanno e Riccardo Mascia oltre a non essere neanche entrati nella sorella, hanno già levato le tende (che palle aspettare lì al freddo e al gelo). Neppure riesco a vedere più la nuvoletta di fumo che sono sicuro debbano aver lasciato andandosene.

Tra i primi fuggitivi oltre ai tre polpettieri vi sono Lisa, Stefania, Antonello ed io. Ce la prendiamo comoda nelle risalite, ma pian pianino guadagniamo la quota “0”. Dentro dietro di noi ci segue di stretta misura Angelo Usc, seguito da Alessandro Gallo, Marco, Filippo, Alfredo e Claudia, Antonio Usc, che disarmerà.

Una volta fuori, vedo che nessuno segue… Chiedo consiglio a Lisa e Antonello sul da farsi: andiamo al campo o aspettiamo gli ultimi? Andiamo al campo: non hanno bisogno di mezze seghe come noi che li aiutino.
Solo al nostro rientro alla Silverhouse mi rendo conto con piacere che Silvestro, Ermanno e Riccardo sono sani e salvi al calduccio del caminetto.
Ormai non posso fare a meno di fare domande: perché non siete entrati nei pozzi? Erano molto interessanti i passaggi: 35+24+15 metri… Silvestro mi interrompe:”Ma che cazzo stai dicendo? Tu non dovevi entrare là dentro. Non hai visto la deviazione a sinistra scendendo nel primo pozzo dopo 15 metri?”

“Sì l’ho vista, ma ho seguito chi mi precedeva, che ha armato fin giù!”

Apprendo che alla fine del gioco che la terza sorella non ha una sola via. Non solo: Antonio Usc ha armato una via che Silvestro non ci avrebbe dato in pasto, ma ormai la… frittata è fatta, cotta e mangiata. E non era neanche male a dire la verità.

Dal mio punto di vista ratifico che Stefania non si è persa molto nel non vedere l’ultima sala: il bello del viaggiare non è arrivare. Forse partire sì, ma certamente non arrivare. Il bello è semplicemente viaggiare, e dunque mi sono goduto il viaggio molto più che l’arrivo.
Cari ragazzi, alla prossima sorella, con l’augurio di trovare ancora segni antropici dal passato.

Categoria: Attività, Primo Piano, Relazioni, Speleologia

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