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L’abbraccio dell’Edera

ATTIVITÀ: Speleologia
DATA: 25-26 Luglio 2009
COMUNE: Urzulei
LOCALITÀ: Fennau
CAVITÀ, GOLA, O SENTIERO: Grotta dell’Edera (Sa Rutta’e s’Edera)
PARTECIPANTI: Lucio Mereu, Maria Cristina Floris, Andrea Rinaldi

Allora è deciso: andiamo all’Edera. L’alternativa cui Lucio aveva pensato era la grotta di Ludus Albus, ma tutto sommato sembra essersi convinto che Cristina ed io possiamo affrontare una cavità più complessa e difficile, come di sicuro è l’Edera. “Mah”–penso tra di me–“speriamo bene”! Vado da Erminchio, il nostro super-magazziniere, il quale, con la sua nota passione per le perifrasi, dopo aver sentito per che cosa mi serviva l’attrezzatura ed avermi squadrato come farebbe con un merluzzo, dice “Non mi sembri proprio una merda, ma la grotta è molto tecnica e fredda”. Come a dire…..sei spacciato! Cazzarola, avrà mica ragione? I dubbi, alimentati dall’istinto di conservazione, aumentano, ma anche la voglia di mettersi alla prova e di vedere una signora grotta preme forte, per cui decido di procedere nonostante la cacarella che si agita in me in cerca di un’uscita.
      L’Edera appartiene al principale sistema carsico della Sardegna, quello del Supramonte, nell’area compresa tra Urzulei, Orgosolo, Oliena e Dorgali. Le esplorazioni di questo grande complesso ipogeo sono iniziate a metà degli anni ’60 (dello scorso secolo!), quando una prima parte della grotta è stata rilevata. A partire d’allora, si può dire, le esplorazioni non si sono mai interrotte del tutto, e certamente non sono ancora terminate. Nuovi rami e nuove gallerie si sono infatti aggiunti con il tempo, in particolare dopo che la mitica ‘frana terminale’ è stata finalmente superata nel 2003 da una squadra composta tra gli altri da Lucio e Jo de Waele. Quell’anno, il passaggio attraverso la frana terminale prima e il superamento di un sifone poi schiudono altri chilometri di ignoto. Da quel momento, come ha giustamente sottolineato Jo in un suo articolo dedicato all’argomento, è iniziata per l’Edera, ‘una nuova era’ (Jo DeWaele, Speleologia, no. 48: 12-33, 2003). Tanto per dare un idea della vastità dello sviluppo del sistema carsico del Supramonte, senza entrare in noiosi dettagli, basta ricordare che alcuni esperimenti con marcatori fluorescenti (fluoresceina) immessi a l’Edera, hanno dimostrato come l’acqua di questo grande inghiottitoio percorra ben 21 km (in linea d’aria) prima di sgorgare alla risorgente di Su Gologone, un grandioso fiume sotterraneo che percorre tutto il Supramonte, da sud a nord. “Restava……..la leggenda nota tra gli abitanti del luogo secondo la quale un pezzo di un antico telaio inghiottito dalle acque nella zona di Fennau, era stato rinvenuto a Su Gologone”, scrivono gli autori delle ricerche (Bandiera et al., Anthèo, no. 6: 47-60, 2002).

      Vista la distanza da Cagliari e la lunghezza della grotta (oltre 11 km di sviluppo, che ovviamente non percorreremo che in piccola parte) partiamo il sabato, verso le 18. A Baunei ci fermiamo per una pizza, poi montiamo le tende sopra Urzulei, protetti dalle fitte leccete della zona. Tra frizzi e lazzi, si è fatta l’una di notte, e domani non andiamo al mare, come la temperatura suggerirebbe! Sveglia militare, all’alba, colazione rapida, smontaggio del campo, e alle 9 spaccate stiamo già penetrando la nera terra della piana di Fennau, avanzando attraverso quella bellissima diaclasi che da accesso alla cavità, cui fa guardia un maestoso esemplare di edera (da cui il nome della grotta). L’inizio è tutta una serie di fratture subverticali o verticali che corde fisse (la grotta è armata in permanenza) consentono agevolmente di superare. Oddio, agevolmente fino a un certo punto! È infatti scivolando lungo la più stretta di queste fessure che penso “Uhm….qui al ritorno ci divertiamo!”. Comunque, si procede lesti, e in men che non si dica, signore e signori ecco a voi il primo pezzo forte: il ‘Pozzo della Grande Marmitta’. Una marmitta gigante appunto, dal diametro di molti metri e dalle pareti levigate, il cui fondo (siamo a -100 m rispetto all’ingresso) si raggiunge con un tiro unico di una ventina di metri. Da qui inizia l’acqua, ovvero una rete di percorsi di scorrimento idrico che confluiscono in un collettore principale. In alcuni tratti, si corre sul fianco di spettacolari serie di marmitte piene d’acqua, alcune delle quali abbastanza profonde, superabili con dei traversi. Per non farmi mancare nulla, sbaglio l’attacco di una longe e casco in una bella pozzona, inzuppandomi quasi completamente.
      E proprio qui, giunti già a un bel pezzo dall’ingresso, ecco un incontro inaspettato e, almeno per il sottoscritto, entusiasmante: un euprotto! Se ne stava tranquillo in una pozza cristallina, finché è stato avvistato dall’occhio vigile di Cristina. Ci ha dato giusto il tempo di scattargli un paio di rapide foto, poi via, come dissolto nelle acque gelide. Per quei pochi sciagurati che non lo sapessero, si tratta di un anfibio urodelo, Euproctus platycephalus, una sorta di piccolo tritone che vive solitamente in acque montane ben ossigenate. È privo di polmoni, e respira dunque attraverso la bocca e la pelle. Un animale affascinante e relativamente poco conosciuto, difficile da osservare, endemico (cioè esclusivo) di poche zone della Sardegna. Finora ne avevo solo letto sui libri, e visto delle foto; vederselo di fronte fa tutto un altro effetto. Visto che siamo ad almeno 100 metri di profondità sorgono spontanee alcune domande, del tipo: ‘come cazzarola hai fatto ad arrivare sin qua? pensi di uscire da questo mondo tetro un giorno, e se si, come? se ti viene voglia di una pizza con i tuoi amici euprottici, mi spieghi come fate ad incontrarvi? e le euprottine (o gli euprottini) dove li trovi? metti un annuncio in bacheca o ti affidi al caso? Mah….misteri speleofaunistici!

      L’Edera si articola in vari rami e diversi livelli, tutti caratterizzati da un andamento irregolare. È la progressione orizzontale, piuttosto che quella verticale, a richiedere tempo e sforzo. Noi ci avviamo, sempre condotti dal grande Lucio che si aggira tra queste pietre come se fosse nel salotto di casa sua, nel ‘Ramo di Destra’, in cui si apre il ‘Salone delle Stelle’. Si tratta di un’ampia sala, dalla quale continuano varie vie e che deve il suo nome a una miriade di concrezioni biancastre che ne ricoprono le scure pareti e la volta, conferendogli appunto un aspetto di cielo notturno stellato. Mentre avanziamo, Lucio ci esorta ogni tanto a voltarci e a osservare da un’altra angolazione la via appena percorsa. Il senso è che se lui si facesse male, e uno di noi dovesse riguadagnare l’uscita per chiedere aiuto, dovrebbe riconoscere la strada da solo, optando tra molte svolte possibili. In verità, mi dico, se ti fai male caro Lucio, siamo fottuti! Ma cerco di non pensarci e mi godo il più serenamente possibile questa bella esperienza. Siamo ora nel ‘Cammino di Mondo’, una galleria piuttosto ampia cui si accede dalla parte alta del Salone delle Stelle.
      È tempo di sosta, è tempo di pappa. Evviva! Siamo infatti arrivati al campo, facilmente identificabile da una tenda con materassini e altro materiale deposto, o meglio ‘stratificato’, in una ampia stanza col fondo sabbioso. Consumiamo il nostro frugale pasto, beviamo la nostra meritata acqua, uriniamo copiosamente sui materassini……scherzetto!…….da bravi ragazzi quali siamo, cerchiamo di farla il più possibile lontano, visto che non esiste una latrina marcata come ad El Alamein. Siamo di nuovo, rapidamente, in marcia, per visitare la parte più concrezionata di questa parte di grotta e prendere la via del ritorno. Lucio ci conduce ancora avanti per qualche centinaio di metri. Ad un certo punto, in un tratto pianeggiante, mi sento sprofondare fino alle ginocchia, e faccio non poca fatica a recuperare gli stivali e i piedi che ci sono dentro. Sono finito in uno spesso strato di argilla intrisa d’acqua, delle vere e proprie sabbie mobili! Lucio sghignazza. Il ‘Fiume Bianco’, una sorta di tappeto cristallizzato che si snoda lungo molti metri (forse, ma è molto probabilmente una cazzata che sparo tra le tante, si potrebbe trattare di ‘latte di monte’ o mondmilch, un agglomerato di sostanze microcristalline che, se secco, assume un aspetto polveroso), infiorescenze di cristalli aghiformi di varie sfumature di bruno ovunque sulle pareti e sul soffitto, incredibili merletti calcarei che affiorano dalle pozze del fondo fiancheggiate da curiosissime pisoliti poligonali, ci ristorano la mente e compensano della fatica, che inizia ad affiorare. Tra le esclamazioni di meraviglia mie e di Cristina, qualche passo ancora, verso un salone occluso dall’ennesima frana terminale, che Lucio ritiene in qualche modo non così terminale, nel senso che potrebbe un giorno essere passata, per portare chissà dove. Uno sguardo all’orologio e siamo già sulla strada del ritorno.

      Lucio tiene un ritmo abbastanza elevato, e stargli dietro costa non poco in termini fisici. Minchia, ma avevamo fatto tutte queste discese? Avanti, comunque, avanti. Però, tutto sommato credevo peggio……aspetta, ecco la fessura in risalita! Sono già mezzo morto, e capisco subito che non sarà facile. E infatti, se non ci fosse stato Lucio a darmi una mano, starei ancora li a smadonnare, incastrato, senza forze per reagire. Il pensiero vola subito a ‘Erminchio il Saggio’……..Poi, la luce. Le 18,30, nove ore e mezza dal nostro ingresso. Di gran lunga il tempo più lungo che abbia trascorso in grotta, e che grotta! Il sole estivo è ancora alto, e la differenza di temperatura tra interno (in media10,5 C°) e l’assolata piana calcarea notevolissima. La mia macchina fotografica si è rotta, ma sono riuscito a documentare l’escursione, recuperando le foto. Sono sfatto. Penso che gli speleologi veri, quelli che trascorrono giorni e giorni in quest’ambiente ostile, avanzando attraverso strettoie impossibili, superando laghi e sifoni, a ogni costo, per leggere nelle vene di Madre Terra, siano dei super-uomini, o semi-dei, titani, per la forza fisica e di volontà che dimostrano. Per quanto mi riguarda, una cosa è certa: ragazzi, mi devo allenare!

Categoria: Attività, Primo Piano, Relazioni, Speleologia

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